LA LOTTERIA
Oramai era vicinissimo alla meta. Aveva viaggiato per tutto il giorno senza un solo istante di pausa nel disperato tentativo di raggiungere sua moglie e pensare che era
tutto iniziato quella stessa mattina con il suono della sveglia. Quella maledetta sveglia. Non aveva mai sopportato l’idea di doversi svegliare all’alba, ma la crisi economica della regione Italiana lo aveva portato
inevitabilmente a doversi muovere costantemente da una città all’altra per lavorare e non era facile trovare dei buoni clienti che accettassero di privarsi di una parte consistente del loro già misero stipendio
per sottoscrivere una polizza assicurativa contro le catastrofi atmosferiche non derivate dall’uomo. Odiava il suo lavoro, ma di qualcosa doveva pure campare. Quando aveva iniziato, dieci anni prima, quella era l’unica
opportunità disponibile nel villaggio globale del lavoro. Un lavoro che disprezzava ma che gli aveva permesso di conoscere Darren e da quel giorno la sua vita era cambiata per sempre.
Per amore di lei aveva rinunciato alla sua libertà e aveva persino comprato una casa in cui tornare ogni sera. Così aveva iniziato ad alzarsi sempre prima.
Le sette si erano fatte ben presto le sei, poi le cinque. Si alzava prima dell’alba solo per poter ritornare a casa per l’ora di cena proprio come piaceva a Darren.
Dio se odiava quella maledetta sveglia! Ma c’era una cosa che odiava ancora di più ed era la voce calda e suadente della ragazza della Lotteria che proprio
a quell’ora del mattino annunciava tutti i giorni e a tutto il Mondo i cento numeri estratti della Lotteria Planetaria.
Osservò i grattacieli di New Manatthan attraverso i vetri della vettura che aveva rubato solo pochi minuti prima, poi guardò la pistola anti-aggressione che
egli stesso aveva modificato e che stringeva ancora nella mano destra. Per un istante ripensò al corpo senza vita dello sconosciuto a cui aveva sottratto la Vettura Privata e lo associò con l’altro che aveva dovuto uccidere a Roma. Egli non era un assassino, tutt’altro,
aveva sempre condannato la violenza ed era stato per quel motivo che non aveva partecipato alle sommosse del Duemilacentodieci per la liberazione dell’Italia dal controllo del Governo Planetario. Sommosse che non andarono a buon fine e che valsero alla regione il pagamento di ingenti tasse di guerra che ne distrussero per sempre l’economia. Ma quel
giorno non era come tutti gli altri, ed egli non aveva potuto affrontarlo come aveva sempre fatto. Tornò con la mente al momento in cui Darren aveva udito il proprio numero di codice di riconoscimento appena estratto.
Antonio non credette alle proprie orecchie, tuttavia, dopo un solo attimo di riflessione, freddò immediatamente i festeggiamenti della moglie.
Aveva sempre ritenuto che il diritto alla vincita fosse solo una presa in giro e quella estrazione fortuita non gli avrebbe fatto cambiare idea. Insomma, che razza di legge
era quella che iscriveva obbligatoriamente ogni persona al compimento della maggiore età nella lista mondiale di estrazione in cambio della decima parte delle entrate familiari medie giornaliere? In parole povere, secondo
il calcolo che Antonio aveva fatto qualche anno prima, su una base di cinquanta miliardi di persone tassate, che fruttavano circa cinquemila milioni di dollari al giorno, il Governo Planetario metteva in palio cinquecento milioni di dollari al giorno per un unico vincitore. Una misera probabilità di vincita su cinquanta miliardi.
Ma non era l’insignificante probabilità di vittoria che lo indignava di più e neanche il fatto che non ci si poteva opporre al ritiro del dieci
per cento giornaliero. No, quello che lo mandava in bestia era la tassa di iscrizione per accedere all’ultima estrazione.
Ne aveva discusso con Darren prima di uscire da casa per andare a prendere il Collegamento Pubblico Cittadino che lo avrebbe portato sino alla stazione dei Collegamenti Planetari. Aveva cercato in ogni modo di calmare l’entusiasmo e l’assurda febbre da gioco che aveva colto sua moglie, come accadeva per ogni altro essere
umano estratto in ogni parte del pianeta, ed avevano concluso insieme che non si sarebbero iscritti all’ultima estrazione per il semplice motivo che non avevano i soldi per farlo.
Le luci della città incominciavano a luccicare con l’avvicinarsi della sera. Stando al pilota automatico tra qualche metro avrebbe dovuto svoltare a destra
ed immettersi sulla Arafat Avenue, per poi proseguire per un altro chilometro e mezzo. Guardò l’ora sul cruscotto. Erano la già le venti. Aveva meno di un ora per fermare sua moglie. Darren, pensò,
ma che diavolo ti è saltato in mente!
Aveva intuito che quella sarebbe stata una giornata particolare fin dal momento dell’estrazione della lotteria e come poteva essere altrimenti! Inoltre l’assenza
totale di clienti sulla sua rubrica elettronica glielo aveva confermato. Così Antonio aveva deciso di tornare a casa per il pranzo, ma quando scese dal Collegamento Pubblico Cittadino proprio davanti al vialetto di casa si accorse di essere stato derubato. Sul prato sintetico dove solitamente era parcheggiata la sua Vettura Privata non c’era altro che il vuoto. Darren non guidava, ne era certo, quindi qualcuno gliela aveva rubata. In preda ad una specie di convulsione nervosa si precipitò
in casa gridando il nome di sua moglie. Ma non ricevette alcuna risposta. La casa sembrava vuota. Il suo cuore sobbalzò all’istante. Dov’era Darren, che cosa le era accaduto. Divorò i gradini della
scala in legno che portava al piano di sopra tre a tre e spalancò manualmente la porta della camera. Non c’era nessuno. Discese al piano terra e corse rapidamente fuori, fece il giro della casa poi tornò
dentro. Non c’era traccia di Darren da nessuna parte. Si sedette sulla poltrona della sala e si portò le mani al viso. Pensò al peggio. Darren era stata rapita dalle Furie della resistenza che in questo modo si vendicavano del suo rifiuto di prendere le armi al fianco della sommossa per la liberazione dell’Italia. Avevano rapito sua moglie
per punire lui. Con le mani davanti al viso pianse in silenzio.
Stava vagando già da una mezz’ora per tutta la casa senza riuscire a pensare a niente, con la mente vuota e lo sguardo vacuo, come fosse uno zombie. L’unica
cosa che era in grado di fare era quella di scrollare la testa e di chiedersi perché. Camminò avanti ed indietro per la sala semi oscura fino a quando, in un raro momento di lucidità, vide lampeggiare
sullo schermo del computer la minuscola luce rossa della comunicazione. Ingoiò a vuoto. Forse era il messaggio delle Furie della resistenza. Che cosa doveva fare, si chiese. Doveva rispondere, oppure doveva avvertire le Forze Pubbliche e lasciare che fossero loro ad occuparsi della faccenda? Decise
di rispondere, in fondo quei maledetti aveva rapito sua moglie, quindi era una questione personale, e come tale doveva affrontarla da solo. Si avvicinò allo schermo, e con la mano tremante lo attivò toccandolo.
Il castello di carte che aveva costruito nella sua mente e nel quale aveva imprigionato sua moglie, crollò come investito da una folata di vento. Sospirò
rinfrancato. Sullo schermo c’era il viso di Darren. Sorrideva divertita. Si sentì immediatamente sollevato, e niente gli faceva presagire la sventura che si sarebbe abbattuta su di lui.
La Arafat Avenue era costeggiata dai grattacieli, i più moderni di New Manatthan. Erano delle costruzione immense, molte delle quali avevano la forma di gigantesche
piramidi. Erano alte fino a cinquecento metri e all’interno di ognuna di esse risiedevano fino a tremila persone. In quel momento stava attraversando la parte più nuova della Capitale Planetaria dove erano stipate
centinaia di migliaia di persone in un apparente agio.
Mentre osservava sullo schermo del computer della Vettura Privata la planimetria del quartiere ripensò al viso di Darren che attraverso la video lettera gli spiegava le sue intenzioni. Aveva preso lei la sua Vettura Privata, ma non lo aveva fatto per andare da qualche parte, anche se così facendo avrebbe ridotto il loro credito annuo dei chilometri, no, Darren l’aveva presa
per venderla all’asta e procurarsi in questo modo i soldi necessari per l’iscrizione alla seconda estrazione della Lotteria. Udendo quelle parole Antonio crollò sul divano. Come aveva potuta fargli una cosa
simile? Come aveva potuto vendere la loro Vettura Privata? Ma soprattutto come aveva potuto farlo dopo che avevano deciso insieme di non partecipare all’estrazione
finale? Quel pensiero lo assillò ottenebrando completamente la sua mente, ma quando tornò in se Antonio comprese che doveva per forza esserci dell’altro. Anche vendendo la loro Vettura Privata Darren avrebbe potuto racimolare si e no i ventimila dollari per comprare il biglietto di andata e ritorno per New Manatthan non certo i duecentomila necessari per
l’iscrizione finale. Cercò di rilassarsi e di pensare a tutte le alternative possibili, finché la sua mente fu sfiorata dalla peggiore delle conclusioni. C’era una sola cosa che poteva valere una
simile cifra. La loro casa. Darren aveva venduto la loro casa! Accese il computer e si collegò alla Extra-Bank. Chiese immediatamente di poter parlare con il proprio promotore finanziario. Pochi secondi dopo Roberto apparve nello schermo, Darren aveva ipotecato la casa. Adesso
avevano venti giorni per saldare il debito altrimenti avrebbero perso ogni cosa.
Sospirò rumorosamente poi la visione di lui e di Darren in un letto di una casa di accoglienza per indigenti gli passò fulminea davanti agli occhi e lo colpì
nell’animo spaventandolo a morte.
No, non poteva permettere che questo accadesse, doveva fermare sua moglie prima che versasse la cifra di iscrizione alla Lotteria. Doveva farla ragionare, doveva farle
capire che c’erano cose più importanti di una maledetta sfida alla fortuna. Il loro futuro, ad esempio. Raccolse i pochi dollari che erano rimasti in casa e che sua moglie aveva tralasciato di prendere, quindi
tornò di nuovo alla fermata del Collegamento Pubblico Cittadino. Doveva arrivare a Roma, poi, da lì in avanti avrebbe improvvisato. In un modo o nell’altro
sarebbe arrivato a New Manatthan.
Dopo un’ultima svolta a sinistra, la Vettura Privata rallentò automaticamente. Sulla Gorbaciov Evenue il traffico si muoveva a rilento e solo nelle sette corsie che andavano a sud verso il Palazzo delle Premiazioni. Maledizione, imprecò colpendo violentemente
il cruscotto con il pugno serrato, questa non ci voleva, la mania collettiva della Lotteria che si ripeteva ogni giorno aveva intasato prima la sua vita, ed ora anche la strada. Guardò verso il fondo della coda che
si allungava a perdita d’occhio fino a cogliere le sfumature scure ed ombreggianti del Palazzo delle Premiazioni che sembrava emergere dalla nebbia provando ad immaginare quante delle persone in coda provenivano dalle
colonie Lunari e quante da quelle artificiali. Strinse gli occhi per vedere meglio oltre la nebbia mortale di New Manatthan. Era bloccato ancora una volta, come gli era capito già all’Interporto di Roma.
Proprio come poche ora prima era costretto ad attendere la sua buona occasione. Fortunatamente all’Interporto di Roma l’aveva avuta quasi subito. Era arrivato
da circa mezz’ora quando con la coda dell’occhio aveva visto un diplomatico che indossava la caratteristica tunica verde uscire dai voli internazionali. Non ci pensò due volte, lo seguì fino all’entrata
del parcheggio consolare e prima che questi potesse inserire la scheda di riconoscimento nel pilone di identificazione, lo afferrò per il collo e lo trascinò via. Gli tappò la bocca con una mano destra
mentre con l’altra gli storse il braccio libero dietro la schiena. Aveva atteso la pausa del mezzo pomeriggio così da poter agire in perfetta solitudine. Una volta dietro il muro di cinta del parcheggio Antonio
aveva estratto la pistola anti-aggressione che aveva modificato scambiando i flussi interni di energia, un giochetto che sapevano fare anche i bambini, quindi aveva esploso una rapida scarica elettrica contro la schiena del
diplomatico che cadde stecchito in solo istante. Guardando quel corpo senza vita Antonio chiuse gli occhi per un momento. Ma che cosa stava facendo, si domandò. Come aveva potuto fare una cosa del genere? Lo stomaco
gli si contrasse in uno spasmo doloroso e prolungato, ma ricacciò indietro il dolore. Lo aveva fatto perché in gioco c’era la sua vita, il suo futuro. In quel momento gli era sembrata una giustificazione
più che sufficiente. Frugò dentro le tasche dell’ampia tunica verde, ma non trovò un solo dollaro. Si portò le mani al viso. Possibile che gli fosse capitato l’unico diplomatico squattrinato
dell’intero pianeta? Un secondo dopo spostò lo sguardo sulla valigetta che l’uomo reggeva ancora con la mano destra. L’afferrò. Era una valigetta ad apertura digitale. Niente di più facile,
pensò, afferrando il pollice del diplomatico e pigiandolo con forza contro il sensore la valigetta si aprì. Dentro c’erano decine di documenti, sigilli magnetici diplomatici e finalmente anche una mazzetta
di dollari. Non erano molti, poco più di venticinque mila dollari, ma erano più che sufficienti per arrivare fino a New Manatthan e per tornare in Italia.
Scacciò via quel ricordo doloroso dalla mente, non poteva attendere oltre, il termine ultimo dell’iscrizione stava per scadere e se voleva avere ancora un’opportunità
di fermare sua moglie doveva agire in fretta. Calcolò rapidamente la distanza che lo separava dal Palazzo della Premiazioni. Era certo che non fossero più di due chilometri. Poi calcolò anche che, correndo
di buon passo, avrebbe impiegato almeno otto minuti per giungere a destinazione. Un tempo che si avvicinava in maniera pericolosa ai nove minuti di esposizione allo smog consigliati dalle autorità sanitarie, dopo i
quali si potevano verificare dei danni cerebrali irreversibili. Comunque non aveva scelta, doveva rischiare. D'altronde, anche rimanendo al sicuro nella Vettura Privata, il rischio che avrebbe corso era lo stesso. In ogni caso in ballo c’era la sua vita. Fece scattare il meccanismo di apertura dello sportello anteriore abbassando
il tasto con il pollice, poi, tra l’incredulità generale dei suoi vicini di coda, scese dalla vettura ed iniziò a correre in direzione del Palazzo delle Premiazioni.
Avanzò sicuro tra i fumi dello smog, rapido e deciso, consapevole che non aveva tempo da perdere. Percorse agevolmente i primi settecento metri, ma poi l’esposizione
prolungata ai gas letali della città cominciò a rallentare il suo incedere, anche i suoi pensieri sembravano rallentati. Man mano che il tempo passava i rumori della città e i sibili continui dei propulsori
delle vetture si affievolivano, mentre la nebbia scura aumentava di intensità. Per un attimo il Palazzo delle Premiazioni scomparve da davanti ai suoi occhi mentre lo stomaco iniziava a contorcersi dolorosamente. Ma
poi, per fortuna, la pesante struttura metallica riapparire come per magia. Comprese che quella era la prima avvisaglia degli effetti dell’avvelenamento da smog, ma doveva continuare ad andare avanti. Cercò nuove
forze dentro di se quindi riprese a correre.
Continuò per altri cinquecento metri e per un altro minuto. Improvvisamente un sussulto ardente gli fracassò
il petto dall’interno. Alzò gli occhi verso il cielo oramai grigio della sera e stramazzò a terra con un ghigno beffardo stampato in viso. Sentì l’asfalto freddo della strada rinfrescargli
la guancia, era ancora vivo. Tentò di muovere le braccia, ma non ci riuscì. Che ironia, pensò ancora, si stava comportando proprio come l’uomo che aveva aggredito all’Interporto di New Manatthan,
aveva gli stessi occhi impauriti nel momento in cui aveva compreso che sarebbe morto, appena un attimo prima che la pistola anti-aggressione facesse fuoco. Aveva continuato a guardare quel corpo esanime anche quando era salito
sulla Vettura Privata dell’uomo che aveva appena ucciso con un unico pensiero in mente: che cosa si provava un attimo prima della morte? Che tipo di emozioni
si scatenavano in quell’istante? A chi andava l’ultimo pensiero?
Antonio non aveva dubbi, il suo ultimo ricordo era per Darren, poi tutto si spense.
Riaprì gli occhi sferzato dalle violente folate d’aria provocate delle vetture che sfrecciavano pochi centimetri sopra la pavimentazione stradale. L’ingorgo
era scomparso. Con uno sforzo sovrumano si mise in ginocchio nel mezzo della carreggiata e osservò ancora una volta la struttura fredda e silenziosa del Palazzo delle Premiazioni. Le vetture proseguivano la loro corsa
non curanti della sagoma scura ricurva a terra. Nessuno faceva caso a lui, in fin dei conti il suicido per inalazione dei gas venefici dello smog era una pratica piuttosto diffusa tra i barboni o i senza tetto della città.
Ma Antonio non era certo lì per morire. Guardò il cronografo da polso: segnava le venti e quarantasette. Maledizione, pensò, non avrebbe mai fatto in tempo a fermare sua moglie, ma doveva tentare lo stesso.
Si alzò in piedi e con ritrovate forze corse in avanti verso la sua meta. Si, poteva ancora farcela, in più di un’occasione il termine per l’iscrizione all’estrazione finale della Lotteria era
stata ritardata, quindi con un po’ di fortuna, poteva ancora fermarla.
Divorò i metri uno dietro l’altro con la forza delle disperazione. Guardò ancora l’ora: le ventuno e zero cinque. Oltrepassò il cancello
di ferro lavorato a mano in un baleno ed altrettanto velocemente raggiunse la scalinata esterna. Salì i gradini tre a tre e finalmente entrò nel grande atrio circolare. Non si fermò ad osservare gli splenditi
stucchi e le finissime lavorazioni artigiane dei lampadari e delle suppellettili come facevano tutti quelli che accedevano nel Palazzo delle Premiazioni per la prima volta, al contrario si gettò come una furia sulla
scalinata centrale fino a giungere all’ingresso dell’anfiteatro coperto dove aveva luogo l’estrazione vera e propria. Una serie di fitte allo stomaco rallentarono la sua corsa, tuttavia proseguì appoggiandosi
al corrimano di legno delle scale.
Un dolore intenso e continuo gli squarciava le viscere fino quasi a stordirlo anche quando con la mano scostò la pesante tenda rossa che gli impediva di entrare
nell’anfiteatro. Ma a quel punto niente poteva fermarlo.
Finalmente era in piedi in cima alle scale che univano le decine di gradoni che scendevano dolcemente verso il basso. Respirava a fatica mentre le orecchie gli fischiavano,
ma fu comunque in grado di udire le parole dello speaker che pronunciava il nome del vincitore.
“Il nome del vincitore è…..Fagiani Darren!” Immediatamente dopo la proclamazione ci fu un tripudio generale con urla ed applausi scroscianti, poi, quando
la confusione si attutì, Antonio riuscì a metabolizzare quello che aveva appena udito, e cioè che era stata sua moglie a vincere i cinquecento milioni di dollari. La cercò con lo sguardo. Finalmente
la vide, era in piedi più o meno a metà dell’anfiteatro e sventolava con gioia il tagliando vincente che stringeva in mano. Cercò di chiamarla, ma non ci riuscì, allora cercò di sbracciarsi
per attirare la sua attenzione. Finalmente la donna lo vide.
Darren giunse appena in tempo per sostenerlo mentre perdeva i sensi. Con dolcezza gli sfiorò il viso e si accorse immediatamente della patina lucida che ricopriva
il suo viso.
“Non ti preoccupare Amore.” Gli sussurrò con dolcezza “Abbiamo tutti i soldi che ci servono per una completa disintossicazione.” Antonio annuì.
Ma la loro felicità durò il tempo di uno sguardo. Due Gendarmi in divisa di gala in cima alle scale gli formalizzarono le accuse: Duplice omicidio e furto continuato e aggravato.
Senza scomporsi Darren gli si avvicinò all’orecchio “Non temere, abbiamo abbastanza soldi anche per comprare il processo, e per vivere felici lontani
da questa landa desolata.”
Uscirono dal palazzo insieme ai due Gendarmi, entrambi consapevoli che la loro vita non sarebbe stata più quella di prima.